Renata si occupa dei bambini

 

Renata si occupa dei bambini nati prima, prima del tempo che l'uomo crede di addestrare, nel tempo che l'uomo non aspettava ancora e la cravatta per le grandi occasioni non era indossata.

 

Piccoli, molto piccoli e alle volte fragili, fragilissimi, come le foglie che aspettano la mano dell'autunno che li raccolga per la semina e tremano. Bambini che hanno corso per cominciare, con la fretta di chi deve compiere.

 

Compongono già: strumenti per genitori che si accorgeranno o forse no.

 

Strumenti per la vita e la morte che si susseguono, lasciando nettare spremuto da ogni albicocco.

 

Arrivano e l'aria è fredda, rigida e faticano chiusi dentro ad incubatrici e cornicioni minuscoli. Renata se ne occupa. Lei era madre ancora prima di essere.

Renata è nata altrove e rinasce ovunque e ovunque insegna a nascere di nuovo ai piccoli che scelgono un tragitto, qualsiasi esso sia.

Ci sono pomeriggi nei quali Renata disegna finestre e scuri di legno socchiusi, sulle pareti della stanza dei nati prima di un poi e come per incanto raggi di estati tiepide filtrano dappertutto. 

 

E fu il tempo di Samuele.

Lo prese tra le braccia, avvolto nella maglia, come ciliegie riposte in magliette bianche che risalgono e scoprono pance di bambine divertite di bocche viola e succose. Sul soffitto disegnò un arco e partirono.

Giunsero in un prato, verde, verde chiaro, bagnato di brina ed in cima ad ogni filo d'erba lo scintillio di un riflesso d'argento. Samuele camminava accanto a Renata. Il suo corpicino adagiato delicatamente in una culla e lui liberato divenne luogo; il luogo che era, infinito e magnifico. Senza forma, senza confini, con i colori dell'anima che si mischiavano rincorrendo quelli di Renata. Lei era un'onda variopinta, come gli intrecci di paglia stesi in groppa a colline infinite, come un fiume di montagna che risale dalla valle al cielo.

 

L'odore era di mela calda, cannella e arancia. C'era il vento e Samuele era, esisteva. Non era il prima di nessun ritardo, non era il dopo di nessun anticipo. Era il tempo stesso. Danzò in un via vai di colori caldi, intensi e leggeri. Nell'ovunque.

Come un tappeto magico, formando un cerchio, Renata si sdraiò tutt'intorno alla culla sollevandola.

Samuele osservava il suo corpicino e quanto stava per accadere.

 

Da dietro all'albicocco, arrivò una sagoma di donna colorata di una luce intensamente bianca. Sulle spalle ospitava un'infinità di farfalle gialle e rosa. Il prato si riempì di quadrifogli che alzando le braccia chiamavano il neonato: "prendimi Samuele, prendimi, sono qui per te". Giunta alla culla, Beatrice, anima ricolma di luce, si tuffò dentro al corpicino del nuovo nato. L'essenza di Samuele sussultò rincorrendola e si tuffò a sua volta dentro sé stesso.

 

Le farfalle presero il neonato, lo sollevarono in alto e lo srotolarono fino a terra, come una pergamena. I quadrifogli presero a salire, ordinatamente, come in un arca di Noè da riempire di ogni bene per poter navigare in qualsiasi vita Samuele avesse deciso di camminare, che fosse questa o un'altra.

 

Renata, Beatrice e Samuele, seduti sul prato, mangiano ciliegie aspettando che i quadrifogli salgono dentro la pergamena. 

 

Cristina Salvador